L’editoriale di David Byrne sulla New York che cambia

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Creative Time Reports e il Guardian hanno pubblicato un’editoriale scritto da David Byrne (foto di Tom Oldham) sulla New York che cambia. Nell’articolo, Byrne spiega che c’è un 1% di New York che ha schiacciato l’energia creativa del resto della città. Riflette sulla scena degli anni ’70, quando sono nati i Talking Heads, e si domanda se la “cultura creativa” avrà o no un ruolo nella NY del futuro. Scherza anche sull’idea di trasferirsi.

Come riporta Pitchfork, il commento di Byrne tocca anche il melting pot della grande mela, che secondo lui fornisce un’energia rinvigorente, e lo paragona alla situazione ben diversa di città asiatiche ed europee. “Se i giovani talenti emergenti non riescono a trovare un seguito in questa città, allora starà diventando sempre più simile a Hong Kong, o Abu Dhabi, piuttosto che alla ricca e fertile terra che New York è stata storicamente” scrive il cantante. “Quelle città hanno sì i musei, ma non hanno la cultura. Ugh. Se questa città sta andando in quella direzione – più di quanto non ha già fatto –  allora mi trasferisco”.

Parlando dello spirito creativo di NY, Byrne scrive:

La città è corpo e mente – una struttura fisica, oltre che un magazzino di idee e informazioni. La conoscenza e la creatività sono grandi risorse. Se la parte fisica (e economica) funziona bene, allora il flusso di idee, creatività e informazioni scorre meglio. La città è come una fontana che non si esaurisce mai: genera energia dalle interazioni umane che vi avvengono. Sfortunatamente, siamo arrivati a un punto in cui molti dei cittadini di New York sono stati esclusi da questa equazione per troppo tempo. La parte fisica della nostra città – il suo corpo – è stata potenziata in maniera incommensurabile. Sono un sostenitore delle piste ciclabili e dei programmi di bike-sharing, e del funzionamento ottimale del trasporto pubblico. Ma la parte culturale della città – la sua mente – è stata usurpata dall’1%.

Sul ruolo delle corporazioni e della crisi finanziaria nell’esaurimento dell’energia artistica di New York:

Questa città non crea più nulla. La creatività, di qualsiasi tipo, è la risorsa da cui dobbiamo attingere come città e paese in modo da sopravvivere. Nel recente passato, prima della crisi del 2008, i migliori e i più brillanti sono stati attratti nel mondo della finanza. Molti ragazzi intelligenti appena laureati sapevano che essere assunti da un fondo speculativo o da qualche istituzione simile gli avrebbe permesso di diventare relativamente ricchi quasi istantaneamente. Ma prima che che la finanza governasse il mondo, avrebbero potuto occuparsi di altre cose: editoria, manifattura, televisione, moda, fate voi. Come in molti altri paesi, la promessa di soldi facili ha aspirato questo talento e questa intelligenza – e ha reso difficile per questi altri tipi di business attrarre i migliori talenti.

È stata stabilita una cultura di arroganza e hubris, in cui si è convinti che il vincitore prenda tutto. Non era figo essere poveri o avere difficoltà ad arrivare a fine mese. I bulli venivano celebrati e acclamati. Il pool di talenti è diventato una risorsa limitata per qualsiasi industria tranne che per Wall Street. Non sto parlando di artisti, scrittori, registi e musicisti – non che fossero esattamente su una traiettoria che li avrebbe portati a Wall Street – ma qualsiasi business che avrebbe potuto dare lavoro ad individui creativi avevano difficoltà a sopravvivere, e naturalmente, le persone più artistiche facevano fatica a trovare un’occupazione… A differenza di quanto è successo in Islanda, dove il governo ha lasciato fallire le banche che non erano state capaci a gestirsi, e quindi i più talentuosi hanno perso interesse in quella cloaca che è la finanza, a New York non c’è stato un rifiuto della cultura che ha portato alla crisi finanziaria da parte dell’opinione pubblica.

L’editoriale si chiude con una nota di speranza:

Può New York modificare un minimo la sua traiettoria, diventare più inclusiva e finanziariamente ugualitaria? È possibile? Penso di sì. È il posto in cui vivere e lavorare più stimolante del mondo, ma è un posto che rischia di allontanarsi dalle sue forze maggiori. Stiamo vedendo dei miglioramenti fisici – anche se la maggior parte delle infrastrutture in rovina ha ancora bisogno di essere riparata. Se possiamo porre una questione sulla situazione sociale ed economica, siamo a metà strada. Potrebbe davvero essere un modello per la creazione di una grande città, economicamente sostenibile e piena di energia creativa. È in quella città che voglio vivere.

Potete leggere l’editoriale per intero (in inglese) cliccando qua. Sotto, il video ufficiale di Who, da Love This Giant, l’album collaborativo tra Byrne e St. Vincent.

Redazione Rumore
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