Live Report: Joy Division Reworked @ Royal Festival Hall, Londra, 21/09/2013

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 di Stefania Ianne

È tutto nato da un’idea del direttore artistico del festival di Brighton, Laura Ducceschi: un omaggio alla musica dei Joy Division 30 anni dopo la morte di Ian Curtis. L’idea è molto bella. Rivedere la musica dei Joy Division, rielaborarla in una collaborazione tra vari artisti e vari mezzi espressivi. Il tutto rivisto in chiave elettronica. La musica originariamente dei Joy Division è stata rielaborata dal pioniere musicale Scanner, coadiuvato dalla creativa Heritage Orchestra, da un decennio all’avanguardia musicale e operante al di fuori degli schemi orchestrali tradizionali, incaricata dell’esecuzione nonché degli arrangiamenti. La parte visiva è stata affidata all’artista sperimentale Matt Watkins.

Si inizia nel silenzio totale. Sul palco un’orchestra tradizionale ma sperimentale nelle sue intenzioni insieme agli strumenti classici del rock/punk: la batteria, il basso e la chitarra.  Al centro della performance la sezione ritmica: un drum kit tradizionale e un secondo kit di percussioni, tantissime, compreso lo xilofono e un gong. Alle spalle degli strumenti due voci femminili, eteree, fuse nella musica. Le note inconfondibili di Transmission appaiono a tratti, ad intervalli più o meno regolari, in un inizio che sembra promettente. Ma quest’opera musicale ben presto appare appena ispirata a Ian Curtis e ai Joy Division ma molto lontana dall’essere una celebrazione letterale. È evidente che la musica dei Joy Division è stata ripresa, smontata e ricostruita nelle sue componenti essenziali con la batteria al centro del palco come forza dominante. La voce, le parole quasi totalmente ignorate, dimenticate. Ed è quest’assenza che pesa come un macigno sulla performance stasera.

21_live_transmission

Le proiezioni alle spalle dell’orchestra amplificate da un secondo schermo nero trasparente che divide il pubblico dai musicisti sono prevalentemente in bianco e nero. Immagini stilizzate di case popolari simbolo della provenienza proletaria dei JD si alternano a immagini che sembrano prese casualmente dalla rete, probabilmente programmate in contemporanea dal computer al centro del palco. Durante la seconda parte della performance si possono chiaramente riconoscere le onde elettromagnetiche che apparivano sulla copertina di Unknown Pleasures mentre prendono vita alle spalle dei musicisti. Ma nel complesso le immagini appaiono rigide, scarne, aride.

Mentre l’orchestra alterna momenti ossessivi quieti, incentrati su una serie minimalista di note su una tastiera a momenti di altissimo volume con il contributo dell’intera orchestra e della rock band, l’assenza della voce e delle parole diventa sempre più cospicua. Finalmente, le parole di Isolation appaiono sullo schermo scritte da una mano invisibile, cancellate, riscritte, tormentate come se fossero scritte durante la performance da un’enorme mano invisibile:

“Mother I tried, please believe me, I’m doing the best that I can
I’m ashamed of the things that I’ve been put through, I’m ashamed of the person I am”

Le stesse parole si perdono in una serie infinita di rivoli come se fossero scritte sull’acqua. Forse il momento più poetico della performance. Sicuramente il momento più commovente è l’esecuzione inevitabile di Love Will Tear Us Apart con la voce di Curtis amplificata dall’alto accompagnata dai soli violini controtempo, torturanti, alla continua rincorsa del fantasma curtisiano con il resto dell’orchestra, le voci eteree e la batteria onnipresente in silenzio, il capo chino. Un assaggio di quello che quest’operazione avrebbe potuto essere e che invece non è stata.

Aggettivi come ‘visionaria’ e ‘progressista’ sono stati usati per definire questa performance. Io la chiamerei elitaria, una ‘glorified jam session’ partita dal ricordo sbiadito della musica dei Joy Division e probabilmente fallita nelle sue intenzioni. Interessante, piacevole ma gelida, un esercizio intellettuale reso possibile dalla tecnologia elettronica, iniziato nel 2012 e riesumato quest’anno per l’opera di Sydney e per una tournée britannica inaugurata dalla serata a Londra. Un’opera che probabilmente sarà presto dimenticata.

Redazione Rumore
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