di Giulia Antelli
A oltre un anno di distanza dalla release del debut omonimo, i Sycamore Age continuano a confermarsi come una delle realtà più interessanti del nostro panorama musicale. Una band che, con il proprio esordio, ha saputo dimostrare un talento singolare e per molti versi atipico nell’attuale geografia indie italiana, con un mix sapiente di folk e prog, echi psych e sinfonie barocche, e, soprattutto, avanguardia e tradizione. Così, all’interno della suggestiva cornice dell’Anfiteatro romano di Arezzo, città natale del gruppo, il live che i Sycamore Age propongono è un’eclettica girandola di suoni in grado di dosare sapientemente originalità e ricchezza degli arrangiamenti, fuori da ogni tentativo di catalogazione ma, allo stesso tempo, con uno stile riconoscibilissimo nella propria sostanza.
Già dal lungo intro dell’iniziale My Bifid Sirens, è chiaro che gli intenti che animano il live sono gli stessi già presentati sull’album, ma, in un certo senso, destrutturati, dilatati e amplificati, grazie ad un’impronta free-jazz che, forse, anticipa la direzione del prossimo disco. Attraverso un lunghissimo campionario di strumenti – talmente ampio e variegato che è impossibile elencarli tutti -, e grazie alla formazione classica di molti dei componenti, che permette, di volta di in volta, di fare in modo che i sette possano alternarsi sul palco con incredibile disinvoltura, le atmosfere che si susseguono si trasformano in materia sonora da plasmare brano dopo brano: è così che, tra l’etno-folk corale di At The Biggest Tree e gli incastri cameristici di Binding Moon, all’ascoltatore non rimane che lasciarsi cullare, e infine travolgere, dal gioco incantato di una musica sofisticata e senza tempo, complessa ma mai over-prodotta, quasi come se la matrice progressive fosse stata spogliata da ogni orpello e da ogni passaggio superfluo.
Dunque, rimane l’essenzialità delle canzoni, costruite sul perfetto equilibrio tra melodia, voce e arrangiamenti, una polifonia obliqua che fa della contaminazione il suo maggior punto di forza, nonché il personale punto di partenza. Il merito maggiore di Francesco Chimenti e compagni è, infatti, quello di saper creare, soprattutto in sede di live, una nuova narrazione musicale fatta di ricerca, improvvisazione e ricomposizione, dove è spesso difficile tentare di apporre etichette. Lo dimostrano la melodia avant di Heavy Branches, subito ribaltata dalle distorsioni elettrificate di Kelly, nonché un inedito, Faffa!, che, come dichiarerà poco dopo il chitarrista/polistrumentista Stefano Santoni, è un omaggio al prog italiano, “quello buono”. Le armonie dark di Astonished Birds, che chiudono lo show, lasciano il pubblico immerso tra i sentieri onirici e visionari di un universo a sé stante, all’interno di una dimensione cosmica e atemporale in cui generare una musica in bilico tra esperimenti contemporanei e sovrapposizioni poliformi. Un’ottima prova per la band aretina, che immersa tra le rovine di un’antica e perduta civiltà, regala al pubblico novanta minuti di un viaggio in spazi inesplorati e fuori dal tempo.
Setlist
Intro
My Bifid Sirens
Dark and Pretty Part Two
At the Biggest Tree + special
Binding Moon
Heavy Branches
Kelly!!!
Dark and Pretty
How to Hunt a Giant Butterfly
Romance
——–
Tears and Fire
Faffa! (inedito)
Astonished Birds