Intervista: Franz Ferdinand

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di Elia Alovisi

Il momento giusto non è facile da azzeccare. Soprattutto se sei un musicista. Ancor di più se sei inglese e fai indie rock. Oltremanica non ci vuole nulla a cadere nel dimenticatoio dopo un esordio col botto, ma anche dopo lo scoglio del secondo disco a finire fuori dalla top 10 non ci vuole nulla. I Franz Ferdinand sono un esempio da seguire nella gestione del successo. Un solo anno tra il self-titled di esordio e You Could Have It So Much Better, entrambi farciti di singoloni, entrambi belli tirati, entrambi successoni: quel che basta per stabilirsi come pezzi grossi del genere e lasciare un paio di canzoni nelle orecchie di chiunque, nel mondo, ascoltasse musica inglese fatta con le chitarre. Poi, con molta più calma, è arrivato Tonight: ben costruito e piacevole, ma un attimo meno incisivo dei precedenti.

Lo stesso processo è servito a Kapranos & co. per partorire Right Thoughts, Right Words, Right Action; quattro anni di pausa e un disco bello – ma non bellissimo. L’attesa, però, è servita soprattutto per evitare la fine dei Franz Ferdinand: i quattro scozzesi hanno ricominciato a divertirsi e a comporre musica a cuor leggero, ed è questo quello che conta. Abbiamo parlato di tutto questo con Alex Kapranos (voce e chitarra) e Robert Hardy (basso), seduti ai tavolini esterni di un hotel vicino alla Stazione Centrale di Milano, mettendoci dentro anche tante cose sui testi di queste nuove dieci canzoni e le tematiche attorno a cui ruotano.

 È passato molto tempo da Tonight, e in questi anni siete rimasti abbastanza in silenzio.

Alex Kapranos: “Guardandomi indietro, mi sono reso conto che non mi è piaciuto parlare di Tonight mentre lo stavamo scrivendo. Farlo è un errore, porta le persone a farsi un’idea di come il disco sarà prima di sentirlo veramente. Le idee evolvono. Parti con uno spunto, a una cosa ne segue un’altra e alla fine il tuo punto di arrivo sarà totalmente differente dal tuo punto di partenza. Inoltre, è davvero difficile sentirsi spontaneo e creativo se c’è qualcuno che ti controlla da dietro le spalle. È così che ci si sente a parlare della propria musica alla stampa, alle etichette, ai manager”.

Le aspettative e l’hype vi hanno sempre pesato? Adesso come li percepite?

Robert Hardy: “Perché, c’è ancora hype su quello che facciamo? Figo! (ride)
AK: “Di sicuro, noi non lo percepiamo”.
RH: “Se c’è, è come se non ci fosse. Non ci ho mai dato peso”.
AK: “Odiamo l’hype. È per questo che stiamo parlando adesso e non abbiamo già parlato due anni fa. Non ci sarebbe stato niente di cui parlare, e non ci consideriamo celebrità. Siamo solo musicisti”.

Come mai avete scelto Right Words, Right Thoughts, Right Action come titolo?

RH: “Semplicemente perché è una sorta di dichiarazione. Volevamo creare l’atmosfera giusta per il disco”.

Qual è il filo rosso che attraversa il nuovo album?

AK: “Direi che è un disco più aderente alla forma-canzone, più guidato dalle melodie. Che possono partire dalla chitarra come dalla voce, da un sintetizzatore come da uno strumento a fiato – in Love Illumination c’è un sassofono, ad esempio”.

Nei testi, continuate a passare dal semplice al complesso, dal piccolo al grande. Ad esempio in The Universe Expanded, in cui mettete assieme immagini semplici come una torta in forno e un vino stappato al concetto di tempo e all’espansione dell’universo.

AK: “Sono importanti sia il grande che il piccolo. Capisci un disegno nella sua interezza solo concentrandoti sui suoi dettagli. Ovviamente è impossibile coglierli tutti, ma coglierne uno perfettamente ti apre la strada a tutto il resto”.
RH: “Di quel pezzo mi piace molto l’idea del tempo che inizia, improvvisamente, a tornare indietro. Hai presente Astral Plane di Jonathan Richman? Il testo, a un certo punto, dice: “Bé, se dovessi non volermi vedere più, ci vedremo sul piano astrale”. E quindi in sogno. Ed è una bellissima cosa allo stesso tempo tragica e spaventosa da dire. Portato all’estremo, diventa un modo per consolarsi, per riavere indietro una relazione che hai perso.

Un’altra opposizione c’è in Stand on the Horizon: quella tra la natura, rappresentata dal mare del nord e da Marsden Rock, e la città, che sta in una stazione di metropolitana.

AK: “Marsden Rock è sempre stata un punto di riferimento della mia vita, fin da quando ero un bambino. Nella canzone, è una metafora per spiegare il modo in cui ci impegniamo a concepire solo che cos’è la nostra vita, e che cosa significa essere vivi, mentre i nostri punti di riferimento cambiano o vengono distrutti. Marsden Rock è realmente crollata dopo una tempesta, qualche anno fa. Ci sono grossi cambiamenti nelle nostre vite, cambiano le circostanze, ma quando i tuoi punti di riferimento cambiano, o vengono alterati, allora la cornice in cui ti sei sempre trovato cambia, e ti rendi conto veramente del punto a cui sei arrivato”.

Ci sono molte frasi che ruotano attorno alla fede: “Non credo in Dio ma credo in questa roba”, in Evil Eye, o “Non sarebbe facile se avessimo qualcosa in cui credere”, in Fresh Strawberries.

AK: “È l’irrefrenabile desiderio di credere, indipendentemente da quanto logiche siano le nostre menti, da quanto siamo curiosi. È impossibile sopprimere questo desiderio essenziale di credere che ci sia una risposta, che ci sia qualcosa che spiegherà tutto, metterà tutte le cose a posto, una qualche forma di sicurezza. Sai, l’altro giorno ero seduto accanto a una coppia con un neonato – non so da dove mi stia venendo questa cosa – avevano coperto la carrozzina con il loro cappotto, in modo da far pensare a loro figlio che fosse notte e farlo dormire. Dalla prospettiva del bambino, i suoi genitori sono quello che per noi è l’idea di Dio. Sempre presenti, onnipotenti. Forse il nostro desiderio di una simile presenza risale alla presenza dei nostri genitori. I tutori che ci seguono all’inizio delle nostre vite. Non stiamo desiderando un vero e proprio Dio, quanto quello stato di serena impotenza”.

Restando su Evil Eye: che cos’è il male, per voi?

AK: “In quella canzone, il male è il malocchio. La cultura greca è piena di riferimenti alla superstizione e alle maledizioni. Ma la cosa non si ferma lì, l’idea da cui è partito tutto è che ci siano persone capaci di vedere il futuro. Una volta ero seduto a un bar e cercavo di predire il colore della prossima macchina che sarebbe passata (ride). È tutto legato alle domande che ci poniamo sulla fede, al conflitto eterno tra il nostro cervello e la nostra spiritualità. Mi ritrovo ad avere superstizioni e mi rendo conto di non riuscire a sopprimerle. Posso essere arrivato, da un punto di vista intellettuale, a rifiutare il concetto di Dio, ma mi metterò lo stesso a provare a indovinare il colore della prossima macchina che mi passerà davanti”.

Franz Ferdinand 01

Foto via Facebook

Goodbye Lovers and Friends sembra una sorta di dichiarazione, soprattutto quanto canti “Non suonate musica pop, sapete che non la sopporto”.

AK: “Quel testo non è autoreferenziale. Concettualmente, non vogliamo metterci troppo al centro come band. Il protagonista della canzone parla alle persone che stanno spiando nella sua tomba durante il suo funerale, non ci sono riferimenti né ai critici, né ai fan, né a noi stessi. Quando parlo di musica pop, lo faccio perché non penso che il pop sia capace di esprimere la complessità emozionale che accompagna un funerale. Molta musica classica, invece, ci riesce”.

Che cosa pensi definisca il termine “pop”?

AK: “Per me è definito dall’immediatezza, dalla tua reazione alla musica. Ad esempio, la Quinta di Beethoven è pop. Non devi lottare per provare qualcosa ascoltandola, non devi ingaggiare una battaglia intellettuale per capirla”.

Quindi per te scrivere musica significa combatterci contro?

AK: “Certo, scrivere musica è una lotta costante, e la creazione di qualcosa comporta sempre molti pensieri. Ma vorrei che la reazione di un ascoltatore ai nostri pezzi sia istantanea… in realtà mi piace la musica pop, veramente. Solo, non voglio che venga suonata mentre verrò calato in una buca (ride)”.

Mi potete spiegare il significato dell’espressione Treason! Animals?

AK: “Quella canzone parla di isolamento. Se ti ritiri volontariamente da qualsiasi interazione umana, allora puoi definire il tuo mondo. Puoi essere qualsiasi cosa tu voglia essere. Se vuoi diventare il re degli alberi e degli animali, puoi diventarlo. Gli alberi e gli animali non si opporranno. Il tradimento è solo un gioco, mi spiego: sarebbe un tradimento se gli animali ti impedissero di diventare il loro re, ma questo non accadrebbe mai”.

Brief Encounters parla di vita di coppia, ma l’immagine che ne esce non è proprio idilliaca.

AK: “Brief Encounters parla di un car key party. In pratica, ci sono tutte queste coppie che si incontrano in una villetta bi o trifamiliare nei sobborghi…”
RH: “Bifamiliare, dici?”
AK: “Sì, la immagino così. Ad ogni modo, gli uomini prendono le chiavi della loro macchina e le mettono in una ciotola. Poi le donne scelgono una chiave e vanno a casa con il proprietario. Se ti senti in una situazione banale, noiosa, che non ti lascia niente, tendi a cercare l’estremo per uscirne. Ma queste soluzioni sono ugualmente vuote”.

Come mai avete scelto le fragole per il titolo di Fresh Strawberries?

AK: “Sono così buone quando stanno per marcire. Come la vita. Quella canzone parla di mortalità. Una buona metafora dovrebbe essere facilmente riconoscibile, e avere una sorta di universalità”.

Dato che stiamo parlando di cibo e in passato avete lavorato entrambi come chef, qual è il vostro pasto-tipo?

RH: “Se la sera dobbiamo suonare, qualsiasi cosa. Basta che sia leggera”.
AK: “Per me, qualsiasi cosa sia tipica della città in cui mi trovo. Adesso che sono a Milano voglio mangiarmi uno di quegli ossi col buco in mezzo… come si chiamano? Ossobuco. Ecco”.

Date le tue origini, senti ancora un legame con la Grecia? E come hai percepito la crisi l’ultima volta che ci sei stato?

AK: “Sì certo. Penso stiano reagendo alla crisi come qualsiasi altro essere umano farebbe di fronte alla disperazione, alla desolazione, all’assenza di speranza. Ma la maggior parte della gente sta tenendo la testa bassa e affrontando la cosa. Il successo dell’estrema destra è terrificante. È una situazione estremamente complessa, soprattutto da un punto di vista della corruzione. Di sicuro impoverire ulteriormente la nazione non è la via da seguire”.

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