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Live report: La notte e il vinile @ Montone di Mosciano Sant’Angelo, 03/08/2013

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di Manuel Graziani – foto di Monica Romani

Il mare di Giulianova è straordinariamente limpido. C’è solo un piccolo problema: l’acqua è così calda che sembra di stare a mollo in un pisciatoio a cielo aperto.

Alle sette e mezza di sera, quando saliamo in macchina, la canicola toglie ancora il respiro. 4-5 km di dolci tornanti collinari e siamo nel borgo medievale di Montone. Già si respira meglio. La leggera salita che ci si para davanti, spinge mia figlia a mettersi a cavalluccio sulle mie spalle. Io abbozzo, mia moglie abbozza, e abbozza anche il tizio che governa la friggitrice alla mia richiesta col fiato spezzato di una porzione maxi di olive all’ascolana. Nell’attesa fisso catatonico le scritte sulle tre leve dello spillatore di birra. Opto per la bionda Art-Rock. Nel mentre incontro un vecchio amico di Ascoli Piceno con cui, nella seconda metà degli anni ’80, ascoltavamo Julian Cope, Triffids e roba del genere sotto l’ombrellone. Bei ricordi. Non ci vediamo da anni. Dovremmo dirci troppe cose legate alla musica che finiamo per discorrere del ripieno delle olive all’ascolana. Eppure siamo tutti e due qui, alla buon’ora, eccitati come scolaretti in gita per la serata iniziale di “La Notte e il Vinile”. Il Festival l’hanno organizzato i ragazzi del Pin Up – Music e Beer, un nuovo mega rock club della zona nonché produttore di birra artigianale che, tanto per dire, ha chiuso la sua prima stagione di concerti con una delle tre date italiane dei Dinosaur Jr. Roba grossa, insomma, proprio come la manifestazione che hanno messo in piedi quassù. Nulla è lasciato al caso in questo angolo d’Abruzzo forte, gentile e gagliardamente alternativo, a partire dalla dislocazione tattica dei gazebo delle bevande fino ai sorrisi distesi degli addetti ai beveraggi. Nelle orecchie mi risuona il ritornello di Applausi de I Camaleonti in un’immaginaria versione hardcore dei mie conterranei Digos Goat.

Artistadistrada_LaNotteIlVinile

Mi dileguo dopo aver parcheggiato le due donne della mia vita a Piazza del Castello dove sta iniziando lo spettacolo degli artisti di strada. A grandi falcate raggiungo la scoscesa Piazza De Bartolomeis.

È subito un’epifania.

A pochi passi da me trionfa splendente un enorme stand strapieno di vinile. Il tipo che lo gestisce sta ancora ordinando i dischi. Ci siamo solo io e lui. Nemmeno lo guardo in faccia. Mi butto a capofitto e coi polpastrelli inizio a flautare sulle copertine impolverate. So di avere poco tempo così alzo il ritmo a livelli olimpionici. Mezz’ora dopo il mio bottino consta di: 1) The Rubinoos “Back To The Drawing Board” LP stampa italiana; 2) Nebula “Clearlight” 7” vinile trasparente; 3) Fase Quattro “Underground” 7”; 4) Nun “Riv Skf/Margine” vinile blu.

Con un sorrisetto stampato in viso tipo paresi, ridiscendo a passo lesto e vado a lasciare il tesoretto in macchina. Al ritorno faccio un veloce pit-stop nei box della mia dolce famigliola. Poi, forte di un’altra bionda Art-Rock nello stomaco, volo a Piazza del Giglio.

Minchia. Sembra di essere nella stupenda Piazza dell’Anfiteatro di Lucca, ma quella dell’Italia in miniatura a Viserba di Rimini. Tutt’intorno banchetti di libri, dischi e cianfrusaglie assortite che tradiscono una buona creatività, seppur un po’ troppo hippie per i mie gusti.

Al centro della piazzetta c’è un tipo di mezz’età, appesantito, che favella al microfono aneddoti e curiosità sul vinile. Mi dicono essere l’audiofilo romano Alex Careda. Dietro di lui, in consolle, c’è una bionda minuta e fashion, anch’essa romana, di mezza età, che mi dicono essere la dj specializzata in vinile Simona Faraone. E ‘sti cazzi ‘n ce li metti?

In realtà i due discorrono con passione e competenza. Avvincono e convincono. E fanno sentire cose interessanti. Ma il richiamo di una batteria acustica è troppo forte e li abbandono nel bel mezzo del discorso sulle strane scritte che a volte si trovano vicino all’etichetta del vinile.

In Piazza De Bartolomeis, su un piccolo palco proprio di fronte allo spacciatore di vinile da cui mi sono rifornito, è appena iniziato il concerto dei Valentina Dorme, gruppo che non ho mai coperto veramente. Il primo pezzo, deandreiano al cubo, mi sfranta i coglioni. Poi, piano piano, il concerto decolla. Il batterista pesta come un cassintegrato depresso, il bassista si genuflette sul suo Rickenbacker che è uno spasso e le due chitarre frullano a dovere melodie indie-pop tra sgommate soniche e grattugiate noise-rock. Nonostante non sia la mia tazza di tè, decisamente non male. Mi gusto con piacere 6-7 pezzi prima di andare a riabbracciare le mie donne.

Mia figlia è contenta come una Pasqua perché ha fatto la baby valletta di un giocoliere/acrobata che l’ha pure portata con sé dentro un’enorme ruota meccanica. Mi sento in colpa per essermi perso lo spettacolino, così mi siedo con loro per l’ultimo numero in programma. Gli artisti di strada sono una coppia. Lui malnutrito, straniero, emaciato, suona una chitarra acustica in modalità pseudo indie che a tratti fa sanguinare il cuore. Lei bianca come il latte, italiana, equilibrista con gli occhi spiritati, fa piroette su un filo d’acciaio a un metro e mezzo da terra. I due ci mettono l’anima, e pure qualcosa in più. Quando finiscono allungo due euro a mia figlia che corre a depositarli nel cappello sdrucito del chitarrista.

Colapesce1_LaNotteIlVinile

La bimba è felice ma anche un po’ incazzata perché non l’hanno fatta salire sul filo. Non ho scelta. Mi tocca rimetterla sulle spalle e mimare pure il galoppo del cavallo. Al piccolo trotto raggiungiamo il palchetto che ospiterà il concerto clou della serata. La mia signora è intenta a fumare la sua sigaretta elettronica. Come si affaccia in scena Colapesce a me iniziano a fumare i coglioni, di default. È un mio problema, ne ho piena consapevolezza: è che sono cresciuto con gli articoli di Sorge e Frazzi su Rockerilla. Fatto sta che la visione improvvisa di un omino minuto con la chitarra acustica a tracolla e l’aria dimessa mi mette l’orticaria. Che poi il signor Urciullo mi sembra pure un tipo a posto. Non si dà arie, fa il suo senza strafare e senza strafottenza. Ci mette impegno e dedizione. Ma io sono altrove. Preferisco perdermi nell’osservare il pubblico assiso su sedie di plastica dozzinali. Per quanto riguarda la fauna indie, direi che la proporzione tra gli alternativi della domenica e quelli del lunedì è 50 e 50. Ma il mio occhio va subito verso gli altri, gli imbucati, gli inconsapevoli, quelli attratti lì solo da una seduta comoda sotto il cielo fresco della notte. Mi rapisce più il meraviglioso declino di una coppia di anziani con facce che paiono scolpite nel marmo toscano, che la poetica del cantautore siciliano.

Sul timido coro filo parrocchiale del pubblico in Summer on a Solitary Beach, mi sento davvero appesantito. E non solo per via dei 20 kg a cavalcioni sulle spalle. Con provvidenziale tempismo anche mia figlia dà segni di stanchezza. La sento lamentarsi: “Papino ce ne andiamo? Quello non mi piace!”.

Mentre la piazza S’illumina noi raggiungiamo la macchina. Gonfio come sono di orgoglio paterno, faccio qualche difficoltà ad entrare nell’abitacolo della Cinquecento.